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L’eredità tossica della rivoluzione verde

L’eredità tossica della rivoluzione verde è un articolo di Jayati Ghosh (economista indiana. Insegna all’università Jawaharlal Nehru di New Delhi e collabora con diversi giornali indiani) apparso su Internazionale n. 1553.

Ci sono più di 390mila specie di piante nel mondo ma tre di queste (riso, mais e grano) rappresentano da sole circa il 60 per cento delle calorie di origine vegetale presenti nelle nostre diete. Il predominio di questi tre cereali è dovuto a importanti scoperte tecnologiche, in particolare allo sviluppo di varietà ad alto rendimento (hyv) di riso e grano durante la cosiddetta rivoluzione verde degli anni sessanta nei paesi in via di sviluppo.

Queste innovazioni hanno prodotto enormi benefici, aumentando l’accesso agli alimenti di base e salvando milioni di persone dalla fame. L’aumento della produzione agricola ha però comportato anche problemi. In particolare, la maggiore produttività delle sementi hyv dipende dalla disponibilità di un’irrigazione affidabile e dall’uso di additivi chimici, soprattutto fertilizzanti e pesticidi. L’adozione di sementi ad alto rendimento ha richiesto sistemi di irrigazione che hanno generato problemi di ristagno idrico e costretto gli agricoltori a sfruttare le falde acquifere, anche nelle zone semiaride. Con il passaggio all’agricoltura basata sulle varietà ad alto rendimento, inoltre, è aumentato l’uso di fertilizzanti a base di azoto. La vulnerabilità di queste varietà ai parassiti e la tendenza a coltivarle in regime di monocoltura ha favorito frequenti infestazioni e l’uso spesso indiscriminato di pesticidi chimici che lasciano residua tossicità nelle piante e nei cereali. Poiché i parassiti hanno sviluppato una resistenza a queste sostanze chimiche, è stato necessario cercare nuove soluzioni tecnologiche, tra cui lo sviluppo di colture geneticamente modificate per essere naturalmente resistenti ai parassiti (almeno ad alcuni). Inoltre, anche se queste tecnologie si sono adattate a terreni di qualsiasi dimensione, le grandi aziende agricole ne hanno ricavato vantaggi in modo sproporzionato e questo ha aggravato le disuguaglianze nel settore agricolo. Come se non bastasse, gli esperti sono sempre più preoccupati per il deterioramento del contenuto nutrizionale delle colture ad alto rendimento. Un recente studio di un gruppo di ricercatori indiani pubblicato su Nature suggerisce per esempio che, nonostante la rivoluzione verde abbia aiutato l’India a raggiungere l’autosufficienza alimentare, allo stesso tempo ha minato la sicurezza nutrizionale del paese. Analizzando la qualità e la potenziale tossicità di circa 1.500 varietà di riso e grano introdotte nel paese dagli anni sessanta al 2018, lo studio ha esaminato gli effetti a lungo termine dei programmi di selezione fondati sulle hyv. Questi programmi hanno modificato la composizione nutrizionale dei cereali, con una riduzione in termini di benefici dietetici e una maggiore concentrazione di tossine.

Dunque, anche se l’obiettivo principale della coltivazione di questi cereali era di sfamare più persone, l’aver puntato sull’aumento della resa agricola ne ha compromesso il valore nutrizionale. In particolare, sono diminuiti i livelli di nutrienti vitali come lo zinco e il ferro nel riso e nel grano, i due principali prodotti alimentari indiani, con ricadute sulla salute di chi consuma questi cereali. In particolare, secondo gli autori, “l’ingestione per via orale di metalli intossicanti” potrebbe causare “tumori al polmone o malattie respiratorie croniche, malattie cardiovascolari, ipercheratosi, tossicità renale e compromissione della calcificazione ossea”. In sintesi, l’aumento del consumo di riso e grano, obiettivo principale della rivoluzione verde, potrebbe aver peggiorato la salute di molte persone in India e anche in molti altri paesi che hanno fatto affidamento sulle hyv per aumentare la produzione di alimenti di base. Per esempio, l’Alleanza per la rivoluzione verde in Africa, così ribattezzata di recente, continua a sostenere un modello agroalimentare superato incapace di generare i benefici attesi. L’alimentazione non dovrebbe essere vista solo in termini di consumo calorico basato sulla diffusione delle monocolture. Per avere accesso a una dieta diversificata, oggi ritenuta più salutare dagli esperti, non basta l’innovazione tecnologica, ma bisogna spostare l’attenzione sulla coltivazione di varietà più adatte al clima locale. Oltre a migliorare i risultati nutrizionali, questo approccio promuove la sostenibilità riducendo le emissioni. L’esperienza indiana è un avvertimento per i paesi in via di sviluppo. In India e altrove sta diventando sempre più chiaro che l’adozione di pratiche agricole ecologiche basate sulla piccola proprietà terriera è il modo più efficace per sviluppare sistemi alimentari sostenibili. Bisogna, però, abbandonare lo sfruttamento predatorio dell’agricoltura, che fa soprattutto gli interessi delle grandi aziende, e passare a un modello che garantisca benefici a chi effettivamente produce e consuma il cibo. ? gim

In India gli esperti sono sempre più preoccupati per il deterioramento del contenuto nutrizionale delle colture agricole ad alto rendimento di riso, mais e grano

5 risposte su “L’eredità tossica della rivoluzione verde”

Interessante, credo sia proprio così. L’essere umano sembra non riuscire a fermarsi e pensare bene, prima di agire: ha sempre bisogno di sbagliare, (lo abbiamo fatto anche noi Paesi “sviluppati” e lo stiamo facendo ancora) per poi cambiare direzione e magari sbagliare di nuovo risolvendo un solo problema alla volta. Il problema è sempre cosa ci guida: bassi ideali, visione ristretta e orizzonti troppo vicini.
Le conoscenze oggi ci sarebbero per fare bene, ma ci vogliono persone evolute. E forti: nel corpo, nella mente e nello spirito. Quindi, in sostanza, occorre una nuova generazione di piccoli coltivatori colti, che amano la Terra e che sono impegnati in un percorso evolutivo e spirituale: i nuovi custodi della Terra. Poi occorrerebbe anche chi cucina con analoghi principi facendo anche della cucina un’arte. E queste sarebbero le basi imprescindibili su cui costruire il resto.

E poi arriva l’Indipendente che tu stesso mi hai fatto conoscere, Stefano, con nuovi test approvati dal Governo per prove in campo di NGT.
Ogni tanto mi viene da pensare che la stiamo cercando noi per primi l’estinzione …. interessantissimo leggere che pensano addirittura che con delle reti a maglie strette, fermando i volatili, e con varietà più alte di altri risi attorno si possa circoscrivere il polline delle piante NGT (Essendo Tedesche sicuramente saranno più disciplinate…. 🙂 ). E’ un pò come quando ci hanno convinto di fermare i virus con la mascherina …. ormai ci beviamo qualsiasi minchiata e forse l’estinzione la meritiamo. Penso che tutti possano scaricare il riepilogo settimanale e metto sotto il link.
https://urldefense.com/v3/__https://online.us2.list-manage.com/track/click?u=fc6a2373726095bfbf68aad96&id=9656ff6c02&e=1f8d8434bb__;!!OjemSMKBgg!hSS0kVBAu6ugyGrLPBVI6vjbe54biFSosZKimUc4lG_zz4ZFdbCBrrN37AfHV-r6f6M446ertdkyprmHnVg1QBoFVgjXPxTgG-ZdP3uvbkk$

Saluti radiosi

L’agricoltura di sussistenza delle mie origini, in cui tante famiglie avevano un “ciclo completo” per riuscire a sfamarsi e riuscire a portare al mercato il sovrappiù per poter completare le esigenze, era la normalità. Ricordo che alle elementari, quando la maestra ci interrogò sui nostri genitori e cosa facevano, almeno la metà (e sto basso…) aveva la famiglia in questo tipo di agricoltura ed io ero, orgogliosamente, in quella metà. Mio padre aveva 4 mucche e un toro poi diventate due sole mucche quando avevo 10 anni e ci siamo trasferiti dove tutt’ora vivo. Avevamo anche un paio di maiali (mezzo per noi e 1 e mezzo da vendere) poi diventato 1 sempre nel medesimo passaggio. Con 2 ettari scarsi di terreno con seminativo, vigneto, frutteto e orto; con mia mamma che faceva raviggiolo e ricotte che rifornivano 3 botteghine di Meldola i miei genitori riuscirono a comprare il terreno ed edificare la casa dove ora io vivo, sfamarci e far crescere tre figli, mandarne uno all’università a Bologna fino alla laurea e l’altra pure (si ritirò all’ultimo anno … io ero la capra e mi sono ritirato al secondo esame 🙂 )
Allora le orticole erano seminate, coltivavate e tramandate; i cereali si prendevano al Consorzio Agrario e ricordo grano in sacchi di juta senza etichetta … o meglio, con una stampa sul sacco che era a rendere rigorosamente. Eravamo negli anni ’75-’80 e non capivo appieno la portata di quello che stavo vivendo ma quando arrivò il trattore su festa grande ed io ero sempre in vetta allo stesso 🙂
Orbene di acqua ne è passata, chi ha due ettari oggi non riuscirebbe nemmeno forse a sfamare se stesso e la famiglia … non parliamo di comprare poderi, costruire case o comprare il trattore e mandare i figli all’Università.
Abbiamo lasciato che si concentrasse sempre più nelle grosse multinazionali la scelta delle sementi per non parlare dei concimi (quando ero piccolo era il letame di mucca il concime e ricordo ancora i 7 becchi di vespa presi mentre caricavo il carro con il forcale….); Rivalta alla plenaria ci ha spiegato bene quanto sia complicato ora fare i coltivatori e quanti ettari servano e il rapido indirizzarsi alla intelligenza artificiale per gli agricoltori che verranno dotati di drone e distribuiranno sensori in ogni dove per perdere anche le ultime facoltà mentali autonome.
Abbiamo il più alto tasso mai visto di tumori di ogni genere con impennate perlomeno inquietanti; impennate di casi di autismo, celiachia, ed altre malattie che segnano per tutta la vita chi ne viene colpito (e se è bambino la vita è pure lunga). Calano gli impollinatori.
Noi che si fa? Pensiamo veramente che il biologico o il biodinamico sia esente dai pollini di altri cereali OGM? E dall’inquinamento ambientale derivante dagli incidenti nucleari, dalle guerre, dagli impianti di riscaldamento o dai motori a scoppio o dalle fabbriche?
Pensiamo veramente, come ho sentito in plenaria, che non possiamo fare nulla per incidere ad esempio sulle guerre? Pensiamo di cambiare qualcosa limitandoci all’acquisto della pasta con il GAS?
Ancora peggio, pensiamo veramente che non ci possiamo esprimere su argomenti che non conosciamo come shienza vorrebbe e che solo i tenutari di questa shienza possono dirci se queste sementi o questa via imboccata sia quella giusta per il futuro dell’umanità?
Basta, scusate se sono, come sempre, prolisso e scusate ancora se ho messo altra verdura al fuoco e posto quesiti a cui risponderei in modo troppo divisivo.
Ringrazio Alice per il bello spunto e confido in una prossima plenaria di tornare a respirare un pò di “aria rivoluzionaria” della prima ora degli ingasati … altrimenti dovrò veramente emigrare … ma verso quali lidi?

Saluti radiosi

Che spunti interessanti…anche i commenti mi riportano alla memoria di quando la casa dove sono cresciuta era circondata da campi e a periodi alterni arrivavano le zaffate del concime sparso dal contadino sui suoi vasti appezzamenti. Ora lì ci sono rimasti pochi appezzamenti, molti dei quali sostituiti da una nuova zona residenziale con villette a schiera. In fondo alla strada c’era un altro campo con un asinello che pascolava e anche lì ora ci sono nuove case e niente campo….niente asinello. Però mi ricollego a quanto detto da Stefano e vi dico che sul cibo alcuni grandi chef del mondo stanno facendo la differenza proprio scegliendo di appartarsi in luoghi remoti e usando materie prime autoctone e per lo più selvatiche. A questo proposito consiglio la visione di “Chef’s table” che parla delle storie di questi chef che hanno scelto di fare la differenza. Anche se ancora è per pochi, troppo pochi, credo sia un piccolo suggerimento su che strada prendere…un abbraccio

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