SCIENZA, ECONOMIA E AMBIENTE DI FRONTE ALLE SCELTE ETICHE E POLITICHE
MARTEDI’ 20 GENNAIO 2009
Ore 20:45 Sala “Zanelli”
Centro Fieristico Faenza
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SERGE LATOUCHE – Antropologo ed economista – Università di Parigi: è professore emerito di Scienze Economiche all’Università di Parigi sud ed insegna all'”Institut du Dévelopement Economique et Social”. Esperto di cooperazione allo sviluppo, è specialista dei rapporti economici e culturali Nord-Sud e dell’epistemologia delle scienze sociali. E’ autore di molte pubblicazioni, tradotte in molte lingue, fra le quali ricordiamo: “L’occidentalizzazione del mondo” (1992), “Il pianeta dei naufraghi” (1993), “La megamacchina” (1995), “L’altra Africa” (1997, 2000), “La sfida di Minerva” (2000), “Giustizia senza limiti” (2003), “L’invenzione dell’economia” (2004), “Come sopravvivere allo sviluppo” (2005), “La scommessa della decrescita” (2007), “Breve trattato sulla decrescita serena” (2008)
MASSIMILIANO MARZO – Economista – Università di Bologna: è docente a contratto
presso la John Hopkins University e professore di Macroeconomia all’Università di Bologna, sede di Forlì. Dottore di ricerca presso la Yale University (USA), è membro dell'”American Economic Association”. I suoi interessi prevalenti si concentrano sull’economia monetaria e sulla finanza. Con la tesi di laurea “Monetary Policy Rules and Welfare in Dynamic Stochastic Models” ha vinto i premi “Luigi Einaudi”, “Giuseppe Scagliarini” e “Marino Martini” per la miglior tesi di laurea discussa in materie economiche nell’A.A. 1991/1992. Autore di molte pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali, è editorialista del “Corriere di Bologna” dal gennaio 2007.
La sala è molto ampia e gremita di gente, dopo una lunga presentazione da parte del Credito Cooperativo che organizza la serata, prende la parola il Prof. Serge Latouche con un italiano corrente colorato da un buffo e simpatico accento.
“Obama oggi nel suo discorso di insediamento ha detto: ‘un uomo, il cui padre 60 anni fa non sarebbe nemmeno stato servito a un bar, è diventato presidente’. È la realizzazione di un sogno.
Anche la decrescita è un sogno, ma può diventare la realtà di domani. La crisi attuale è una buona notizia per i partigiani della decrescita, è l’inizio della realizzazione del nostro sogno. Infatti, non c’è niente di peggio che vivere in una società della crescita senza la crescita e questa crisi ci dice della necessità di inventare un’altra società .
La decrescita è uno slogan, non è il simmetrico di crescita. Infatti non esistono sono modelli di decrescita economica così come ce ne sono di crescita. Ma è una provocazione necessaria: significa la necessità di uscire da una società dove la crescita serve alla crescita, cioè è fine a se stessa perchè serve a fare crescere i profitti, i consumi e quindi i rifiuti. Se vogliamo essere rigorosi, si dovrebbe parlare non di decrescita, bensì di a-crescita. Quella ‘a’, come nella parola a-teismo significa il rifiuto di una religione, indica il rifiuto della crescita in sé e per sè.
Di fronte a questa crisi, i partigiani della decrescita devono affrontare un sacco di paradossi. È vero che la crisi porterà sofferenza prima che la società della decrescita sia costruita. Ci sono però persone che si sono preparate (organizzandosi in gruppi di acquisto solidale per esempio), e per loro sarà più facile sopravvivere. E poi mi insospettisce il fatto che i banchieri si preoccupino così tanto del destino dei poveri, di quanto soffriranno per gli effetti della recessione. La crisi tuttavia è una buona notizia perché ci dà l’opportunità di cambiare strada, ci permette di indebolire le catene che ci tengono legati; è uno shock, ma uno shock necessario per rompere la schizofrenia, per fermare la globalizzazione, quel meccanismo folle che fa sì che ogni giorno dei camion attraversino le Alpi per portare l’acqua Evian dalla Francia all’Italia e l’acqua San Pellegrino dall’Italia alla Francia. Il circolo virtuoso della crescita – più consumi, più occupazione, più risorse per investimenti in welfare – ha avuto due grandi perdenti: i popoli del Sud del mondo e la natura. Le specie stanno scomparendo, a un ritmo di 50 -200 al giorno (molte all’interno della foresta amazzonica): scompaiono per effetto delle attività dell’uomo, l’uomo stesso potrebbe esserne una vittima ed esistono alcune previsioni, nell’ipotesi di continuare con questi ritmi, che indicano intorno al 2030 e il 2060.
I partigiani della decrescita, e questo è un altro paradosso, devono fare battaglia anche contro alcune frangie della sinistra, la parte politica a cui ci sentiamo di appartenere. Perché anche la sinistra radicale ha abbandonato le lotte per suddividere più equamente la “torta” pretendendo invece di trovare le soluzioni alle disuguaglianze accrescendola per poi suddividerla. Ebbene, la “torta” è cresciuta di 30 volte, ma è diventata velenosa e ha fatto accrescere le ingiustizie sociali. Alan Greenspan, poi è stato un “genio” a dare alla società dei consumi altri 30 anni di vita sviluppando una società virtuale, con i suoi derivati: la privatizzazione del debito e quindi l’attuale crisi. Ma ora la “torta” davvero non può più crescere, non DEVE più crescere. Consideriamo il fatto che si è calcolato che il 30% di quello che gli italiani comprano al supermercato va direttamente nella spazzatura. Consideriamo la nostra impronta ecologica: lo spazio bio-produttivo nel mondo è di 12 miliardi di ettari, in media avremmo 1 ettaro e 8 a testa. Un italiano ne consuma invece quasi 5 ettari, uno statunitense quasi 10, mentre un burkinabé molto meno di uno. La realtà è quindi che noi abbiamo un grosso debito verso i paesi poveri; sono i paesi del Sud ad aiutare quelli del Nord e non viceversa.
Perciò dobbiamo ritrovare il primo socialismo, dobbiamo cambiare la ricetta della torta. L’imperativo è reinventare una società autonoma, che dà a se stessa le proprie leggi. Si tratta di realizzare quel progetto della modernità che la modernità ha tradito. Dobbiamo rovesciare la tirannia dei mercati finanziari, anche se è molto più facile uccidere un re che un mercato finanziario, la cui mano è invisibile. La società della decrescita implica naturalmente uscire dal capitalismo. Questa significa uscire dal Mercato e non dai mercati. Non si tratta di cancellare il denaro, ma di riappropriarsene per sostenere i profitti locali. Dobbiamo ritrovare il senso della misura, distruggere l’imperativo dell’economia per cui siamo disposti a fare tutto, anche distruggere un territorio come nella Val di Susa (e questo perché così sarà più facile portare acqua Evian in Italia e acqua San Pellegrino in Francia). Si tratta quindi di uscire dallo spirito del capitalismo, reincastrare tutte le categorie economiche dentro il sociale. Non è un progetto reazionario, anzi un progetto di emancipazione della società , anche se non ho un progetto globale per farlo e sono contrario ad ogni concetto di universalismo: occorre reinventare la società a partire dai propri luoghi.
È evidente che non si può passare dall’oggi al domani da una società dei consumi a una società della sobrietà perché è evidente che l’indice del benessere non corrisponde all’indice di crescita del PIL. Per questo occorre un programma riformista, che ho chiamato il programma delle 10 R (v. internet e Breve trattato sulla decrescita serena – ed. Bollati Boringhieri).
Noi siamo arrivati all’incrocio di due strade: quella che porta alla scomparsa dell’umanità , che è quella che stiamo percorrendo ora, e la strada della crescita negativa, cioè della disperazione più totale. Il progetto della decrescita rappresenta la terza via, cioè la sintesi di ciò che anima l’umanità : il bisogno di rispondere sia alle necessità sia ad aspirazioni e ideali ritrovando un’impronta ecologica sostenibile, riducendo i consumi ed eliminando gli sprechi.”
Al termine dell’intervento del Prof. Latouche prende la parola il Prof. Massimiliano Marzo.
“Latouche non ha esagerato, condivido le preoccupazioni e l’incitamento a rivedere le nostre posizioni, però sono un economista di formazione neoclassica e sono molto più preoccupato di lui per il calo del PIL. La transizione da un sistema all’altro costa moltissimo in termini economici e umani. So che c’è bisogno di questa trasformazione, viviamo in un’economia malata e piena di eccessi, ma decrescere è veramente il punto? La decrescita è uno slogan provocatorio ma dobbiamo cambiare il nodo del sistema produttivo, il modo di fare business smettendo di concentrarci solo sui beni materiali, ma investendo in beni immateriali: istruzione, sanità , ricerca, welfare. A causa della scarsità di questi ultimi anche i Paesi del Sud di fatto utilizzano tecnologie e sistemi molto inquinanti. Dobbiamo cambiare motore, non solo ridurne i giri. Ora l’individuo è completamente spersonalizzato, occorre tornare indietro, all’uomo inteso come soggetto all’interno di relazioni.
Il sistema economico capitalistico esiste dal 1200 e prese le mosse dalle abbazie cistercensi e dai conventi francescani, in cui vi era lo svolgimento di un’attività produttiva con rischi annessi e connessi. Il concetto fondante era il bene comune, l’idea che l’uomo doveva crescere insieme agli altri. Questo concetto è stato sostituito dal concetto di bene totale, cioè la massimizzazione di una somma sotto determinati vincoli, si è perso il concetto di redistribuzione delle risorse. Dal ‘700, ma già a partire dalla riforma luterana, vi è stato un cambiamento culturale radicale secondo cui l’uomo era visto come unità singola e il ruolo delle individualità è stato progressivamente annullato sino al capitalismo moderno avanzato e selvaggio in cui l’uomo è diventato solo una merce. Il mercato finanziario, che esiste dal 1200, oggi è diventato pervasivo in tutti gli aspetti della vita economica: le imprese non fanno più investimenti, agiscono solo in funzione della quotazione del loro titolo in borsa. Le nostre società adesso sono più diseguali di quelle degli anni ‘50. Considerato che non si può chiudere il mercato finanziario che così genera disuguaglianze, allora è necessario cambiarlo. E il problema fondamentale è lo sradicamento dell’uomo dalla sua socialità . Per cambiarlo sono necessarie delle riforme al commercio internazionale che pongano dei freni a una globalizzazione che crea distruzione di prodotti in eccesso e importazione di prodotti inutili. Già solo la politica agricola comune è stata gestita male perché ha fatto sì che non ci si aprisse ad un commercio con il Nord Africa che avrebbe generato maggiore occupazione, maggior benessere e sicuramente un minore afflusso di immigrati da quei paesi.
Dobbiamo quindi garantire un accesso alle risorse in modalità di cooperazione e non, come si è fatto fino ad ora, incoraggiare solo l’accesso al consumo. Bisogna ritornare a guardare all’uomo in un contesto di relazione come nel primo capitalismo. Noi dobbiamo crescere perché davanti abbiamo delle sfide incredibili, ma rivedere i comportamenti economici in un’ottica relazionale. Dobbiamo attrezzarci con dei sistemi di protezione sociale e per questo abbiamo bisogno di un migliore accesso alle risorse.
All’interrogativo sul perché gli economisti non hanno parlato di tutto questo prima che arrivasse la catastrofe, rispondo esortandovi a dire chi tra i professori di economica politica in Italia fa opinione: Giavazzi, Tabellini, Alesina. Perché a loro viene dato tanto spazio sulla stampa? Perché la Bocconi dà un sacco di soldi al Sole 24 ore. Io non vado a Ballarò, ci va Tito Boeri perchè finanziato dalla fondazione Debenedetti. La crisi finanziaria è stata causata esattamente da conflitti di interesse di questo tipo.”
Milena – Daniela
2 risposte su “SCIENZA, ECONOMIA, AMBIENTE resoconto degli inGASati”
Grazie di cuore … con calma leggerò!!!
Mi pare però di sentire la voce si Serge 🙂
Siete incommensurabilmente forti!!!
Saluti radiosi
Grandi, che avete fatto questo bel resoconto!
Anche noi eravamo a sentire Latouche, ma non vi abbiamo visto (c’era tanta gente e poi forse, poiché siamo inGASati da poco, non vi abbiamo riconosciuto).
Noi abbiamo apprezzato particolarmente la parte delle risposte alle domande del pubblico.
Saluti decrescenti
Davide e Gloria