Martedì 14 aprile 2009, una settimana di ferie e prendo il largo, stacco da tutto per tre giorni. E’ bastata una telefonata e una stanzetta per me sola, qui all’eremo, l’hanno trovata subito. D’altra parte è già un po’ che desidero visitare questo posto meraviglioso immerso nelle foreste casentinesi e il momento di intenso lavoro e impegni ben si presta a uno “stop & go” per riprendere patronanza degli eventi e congelare, in una sorta di fermo immagine, le cose belle che mi stanno accadendo.
Ed ecco che prendo l’E45 e, tra buche e saltelli, arrivo all’uscita di Bagno di Romagna. Da lì comincia la strada in collina tra foreste e tornanti che pian piano mi fa lasciare alle spalle la frenesia del quotidiano, i contatti con il “mondo fuori che chiede” pian piano si sospendono e vengo avvolta da questi alberi, il cellulare già non prende più. Ecco: finalmente libera!
Libera di gioire della mia stessa vita frenetica, libera di rimettere in ordine i pensieri e di entrare in contatto con la natura attraverso i ritmi della vita monastica all’eremo.
Più mi avvicino alla meta più mi chiedo come sarà questa esperienza…io che non sono nemmeno andata a Messa per Pasqua per passare più tempo con i miei e che ho sempre un certo timore reverenziale in situazioni come questa, visto il mio cristianesimo un po’ fai da te, ritrovato solo quest’anno dopo un lungo percorso che mi ha fatto riscoprire le mie radici. Più che cattolicesimo, di cui ancora faccio fatica a comprendere e condividere certi aspetti, la mia assomiglia più a una spiritualità contemplativa che cerca di prendere il meglio delle tradizioni religiose con cui sono venuta a contatto tramite viaggi, incontri e letture, ma che più spesso ammira i principi di condivisione, povertà ed essenzialità di frati e monaci…chissà se potrò parlarne apertamente a Camaldoli – mi chiedo.
Ma ecco che giungo a destinazione e subito scorgo l’antica farmacia, è l’una, a quest’ora è ancora chiusa; poco più avanti il monastero e la foresteria. Mi sembra di aver prenotato all’eremo, ma qui dice foresteria, mi fermo.
Entro nel bellissimo chiostro in pietra dei primi anni dell’XI secolo, le pareti trasudano storia e sacralità e varie frecce indicano le stanze, le cappelle, la chiesa, il bar, e gli uffici collegati al monastero. Quasi quasi spero di aver prenotato qui, ma in realtà qui il mio nome non compare, dicono che di sicuro sono più su, all’eremo. La cosa devo dire che un po’ mi intimorisce: ci saranno altri viaggiatori come me? E che stile di vita lassù? Se qui ci sono tavolate di famiglie e giovani allora chi è che va su all’eremo? Sarà richiesta una particolare conoscenza delle scritture?
Proseguo il mio viaggio al sole caldo dell’una del pomeriggio mentre attorno a me la foresta infittisce e i tornanti salgono, non riesco più a tenere la radio accesa…sento il bisogno di sentire solo i rumori della natura intorno a me. Quando arrivo e scendo dall’auto subito vengo avvolta dalla pace e dal silenzio del luogo, caratterizzati solo dal muoversi delle fronde degli abeti al vento e dal dolce scorrere delle cascate di sorgente…sono nel parco nazionale delle foreste casentinesi e, oltre alla natura incredibile, è intensa la sensazione di sacralità data dalla struttura elegante ma rustica dell’eremo. Ora il portone in legno è chiuso, riapre alle 15 per gli ospiti, i monaci riposano fino a quell’ora.
Aspetto prendendo un caffè e una quantità incredibile di prodotti della farmacia dei monaci: dalle tisane alle creme, dalle caramelle alle pomate, ehi, hanno anche quella anticellulite! Forse anche loro ritengono la bellezza un dono di Dio da preservare: mi stanno già simpatici! E poi campane tibetane, cuscini per la meditazione, incensi e libri di varie confessioni o filosofie (c’è anche un libro di Pallante sulla decrescita!): è palese l’apertura ecumenica del luogo ed è forte l’atmosfera di accoglienza, così come si è, per quanti hanno bisogno di un momento di pace, solitudine, spiritualità a contatto con la natura. Spesso, purtroppo, in luoghi cattolici si respira più che altro un’aria di giudizio, non una tale sensazione di accoglienza. Tanti miei timori vengono subito fugati…
Vendono questi prodotti anche a domicilio, potrebbe essere interessante per i gruppi di acquisto solidale.
Nell’attesa mi assopisco per un po’ in auto, sono arrivata ormai, la giornata è splendida e posso finalmente cominciare a riposare.
All’ingresso vengo accolta da Franco, un signore laico in pensione che ormai da tempo passa quassù un mese all’anno, in compagnia della moglie o da solo, in veste di portinaio. E’ rassicurante, tanto che lì per lì lo scambio per un monaco e gli inizio una mezza confessione sui motivi che mi spingono lì…mi sorride e mi spiega che mi troverò bene in quell’ambiente. Mi mostra la mia stanza, mi consegna le chiavi, dice che siamo circa una decina di ospiti e mangiamo tutti insieme in una saletta con un grande caminetto, mi spiega gli orari di pasti e funzioni e dice che non è obbligatoria ma certamente gradita la presenza.
L’eremo è composto all’ingresso da due zone destinate agli ospiti, una con stanze e bagni in comune e una, quella dove mi trovo anch’io, con stanzette autonome, portineria, cucina, sala lettura e sala da pranzo.
I monaci invece vivono nelle loro “celle” (delle piccole casette in pietra), ognuna con il suo orticello antistante, separate dalla zona aperta alle visite con un cancello in ferro battuto.
Raccolgo il mio bagaglio, salgo in stanza, una doccia e poi dormo tranquilla fino all’ora dei vespri.
Nel cortiletto aperto agli ospiti ci sono l’oratorio di S. Salvatore Trasfigurato e la chiesa ristrutturata nel 1200, la cella di S. Romualdo (fondatore dell’eremo, consacrato nel 1027 dal vescovo Teodaldo) e la splendida cappella del Vaso di Creta, dove si può andare a pregare o meditare in solitudine a qualunque ora del giorno o della notte.
I ritmi di vita qui sono scanditi dal rintocco delle campane, dalle funzioni e dai veloci ma genuini pasti, preparati quasi interamente con prodotti naturali del territorio e coltivazioni dei monaci.
La prima campana del mattino è alle 5 e 30, alle 6 il mattutino, alle 7 e 30 le lodi, alle 8 colazione, alle 11 e 30 l’Eucarestia, 12 e 30 pranzo, silenzio e riposo fino alle 15, orario di apertura alle visite, alle 19 i vespri, alle 20 cena e alle 21 e 30 ci si ritira nelle stanze per riposare.
Le funzioni sono quasi tutte cantate, le marmellate della colazione sublimi e la cosa piacevole è che dopo cena quasi sempre ci si sofferma nella sala da pranzo attorno al focolare acceso per chiacchierare con gli altri ospiti. Don Carlo, ex parroco di Modena, ha scelto la vita monastica per la pace e serenità dei luoghi. Dice che secondo lui i ruoli di vescovo o comunque i ruoli di potere andrebbero assegnati a chi non li chiede. Oltre a tematiche inerenti la chiesa e la vita in monastero si parla di altre tradizioni religiose, delle esperienze varie che portano ciascuno di noi ad essere lì, e poi di progresso, viaggi, ecologia, campi elettromagnetici e mezzi di comunicazione contemporanei. Don Carlo fa un’osservazione che mi colpisce parecchio: il parco e la foresta attorno all’eremo erano totalmente gestiti dai monaci fino al 1866, poi sono passati al Demanio Statale, scelta che peraltro i monaci condividono, se non fosse per certe teorie del “bio” a tutti i costi che impongono di non tagliare più le piante, come è stato fatto per secoli per rigenerare i terreni ed evitare che gli abeti si seccassero e cadessero naturalmente, col rischio di danni all’eremo stesso. Una volta – dice don Carlo – non si parlava di ecologia perché già si viveva nel rispetto della natura, infatti molte tecnologie della bioedilizia hanno ripreso da tradizioni antiche di secoli fa. Spesso sarebbe meglio ricorrere al buonsenso più che a teorie fine a se stesse. Mi fa riflettere sul fatto che, come al solito, stabilire politiche e strategie senza ascoltare chi vive i territori in questione da secoli porta a storpiature ed errori camuffati da buone intenzioni; è necessaria una maggiore consapevolezza sulle nuove tecnologie per non ricadere nell’errore dello spreco.
Infatti anche qui si parla di crisi come crisi dello spreco e delle speculazioni: il mondo riaggiusterà il tiro e si riprenderà si spera.
Ora la mia permanenza qui è quasi giunta al termine, riempio la mia bottiglietta dalla fontanella con acqua di sorgente, una passeggiata nei sentieri della foresta, un momento di pura contemplazione di fronte ai daini e cinghiali che pascolano liberamente nel prato sottostante l’eremo e domattina via di nuovo, destinazione Forlì.
Già , DestinAzione Forlì è anche il motivo per cui sono più ricettiva rispetto a certe tematiche e colgo ulteriori prospettive della mia permanenza qui.
DestinAzione Forlì è la lista civica di cui faccio parte e che mi permette in questo momento di pubblicare alcuni miei scritti, questo in particolar modo per dare voce a pratiche e stili di vita spesso purtroppo dimenticati nel frastuono del mondo.
DestinAzione Forlì è un gruppo di giovani e meno giovani che, come me, hanno poco a che fare con la politica, ma ora si sentono chiamati ad offrire un proprio contributo partecipandovi e basandosi su alcune prassi virtuose già sperimentate con successo in altri Paesi e Comuni – che peraltro nemmeno avrebbero le risorse naturali che abbiamo noi – ma soprattutto sul buonsenso e sull’ascolto di chi vive, come noi, nel nostro territorio.
Un grazie a Giovanni di Modena, giornalista per hobby, che ha letto e approvato questo mio “diario” dandomi qualche consiglio; e al suo amico piastrellista in crisi e in cerca di se stesso.
Grazie a Franco, un portinaio e un punto di riferimento con cui è stato davvero piacevole chiacchierare: anche lui ha un figlio che fa musica con una band e nella sua vita ha partecipato e vinto con una lista civica nel suo paese in Piemonte, grazie per i consigli e l’incoraggiamento.
Grazie a Cristina da Dusseldorf, Eleonora da Firenze, don Federico da Modena e Paola del bar dell’eremo, miei compagni di “confessioni” e di chiacchiere.
Ma soprattutto grazie ai monaci e a don Carlo, con i suggerimenti inerenti le opere sociali e politiche e il permesso alla eventuale pubblicazione.
Grazie Camaldoli per avermi accolta, ascoltata, “coccolata” e rigenerata: ora sono pronta per ritornarmene a casa con un messaggio da trasmettere. Sogno già la mia prossima visita qui…ma ora c’è molto da fare…sta nascendo qualcosa di nuovo a Forlì!
(Lettera Firmata)
Scatenatevi, non mi importa un fico secco, proteste sventolate regolamenti ragionamenti, li condivido avete ragione voi sono al di fuori delle regole.
Non leggete quel che non è scritto sono settimane che questo testo mi fa compagnia me lo rileggo da giorni mi è piaciuto tanto e il solito impulso che mi spinge a condividere tutto mi ha fatto rompere ogni indugio E’ così se vi pare, nessuna condizione nessun out out ci vogliamo bene lo stesso 🙂 Paolo Ricci
2 risposte su “SPIRITUALITA’ E AMBIENTE – DIARIO DI UN VIAGGIO A CAMALDOLI”
Che bello leggere un articolo così al mattino, non ha importanza, per me, se condivido il pensiero o meno, ma la passione e lo spirito sono così forti e sinceri che mi è sembrato di essere là con chi ha scritto. A Camaldoli ha vissuto un cugino di mia mamma Don Roberto (credo abbia sui 90 anni ora) e come compagno aveva un cane San Bernardo. Ho ricordi d infanzia in quei luoghi, sono felice che mi hai fatto leggere e condividere un esperienza, e non sapevo che l’Eremo fosse aperto anche alle donne, quando ero piccola non era fattibile per noi “altra metà del cielo” vivere una esperienza così intensa e vera. Grazie Paolo e buona giornata!!!
P.S.: Ringrazia anche chi ha scritto perchè mi ha donato calore al cuore, sarà una buona giornata per me oggi
15/04/2012
sono in ritardo di 3 anni, ma leggendo questo tuo diario, ho quasi le lacrime agli occhi…..
grazie, Claudia, era da tanto che non mi commuovevo leggendo 2 righe!!!
Mi sembra di essere stata lì con te… sensazione strana, essendo passati 3 anni da quando l’hai scritto!!!…. quasi da macchina del tempo 🙂
cri